Un hacker non è tale se non prova a “forzare” un obiettivo particolarmente importante, prestigioso. Più che il valore monetario, i veri pirati informatici (da non confondere con i cybercriminali, che pensano solo a rubare dati sensibili o tutto quello che può servire a raggranellare soldi) puntano al colpo grosso mediatico, che possa far parlare di loro e della loro impresa. E’ così che possono fregiarsi del titolo di hacker. Questa volta ci hanno provato degli smanettoni greci, un team di hacker che si fa chiamare GST (Greek Security Team), che proprio nel giorno del grande esperimento di Ginevra, mercoledì scorso, sono entrati nel sistema del Cern per lasciare la loro firma, fregiandosi così di avere fatto parte in qualche modo del più grande esperimento scientifico della storia.
E’ stato il quotidiano inglese The Telegraph a riportare i particolari di questo attacco, spiegando che in realtà non si è tratto di una violazione particolarmente dannosa, visto che i greci si sono limitati a un attacco di defacement (probabilmente approfittando dei dati di accesso all’acceleratore americano Tevatron del Fermilab), lasciando una pagina web sul sito del Cern in corrispondenza delle informazioni relative a uno dei quattro esperimenti tentati mercoledì, ovvero il CMS, quello che avrebbe dovuto scoprire la cosiddetta “particella di Dio”, il fantomatico Bosone di Higgs.
Dopo avere rimosso la pagina truffaldina e avere verificato che non fossero stati inseriti trojan o altri tipi di virus, gli esperti del Cern hanno assicurato che la situazione è sotto controllo. E meno male, perché entrare in possesso in remoto di un bestione come l’LHC di Ginevra significa avere per le mani uno o più dei magneti da 12 tonnellate che compongono l’acceleratore di particelle, con la possibilità di fare disastri considerevoli.
Ma ormai tutto è a posto, almeno secondo quando affermano i responsabili del Cern.
“Non ci sono stati danni gravi” ha riferito James Gillies, portavoce del Cern di Ginevra. “La nostra rete di sicurezza è strutturata a più livelli, e nessuno li ha violati.”
Dello stesso avviso anche i due responsabili dell’esperimento Atlas, che si è mosso in parallelo al CMS, ovvero gli italiani Fabiola Gianotti e Guido Tonelli.
“I sistemi di protezione hanno funzionato” sostiene quest’ultimo, “impedendo che gli hacker arrivassero a parti vitali delle nostre macchine”. “Abbiamo comunque alzato il livello di protezione del sistema” tiene a precisare Fabiola Gianotti, “in modo da impedire altri attacchi del genere”.
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